martedì 6 ottobre 2015

La mia sui vaccini

Quasi tutti i giorni si trovano su Facebook post contenenti link di articoli che parlano di vaccinazioni o meglio, di come queste siano in costante calo anche nel nostro paese.
Quando si parla di questo argomento, non riesco ad essere super partes, lo riconosco. Ma una spiegazione c'è e va cercata nella mia storia familiare.
Mio padre, classe 1947, intorno ai due anni venne ricoverato al Meyer di Firenze perché aveva bisogno di penicillina che allora non si trovava facilmente fuori degli ospedali. E lì, in un ambiente che per noi è sinonimo di protezione, ha contratto, come molti altri suoi coetanei, la poliomielite. Il vaccino ovviamente ancora non esisteva. La sua gamba sinistra si è paralizzata e a nulla sono valsi i tentativi di migliorare la situazione: ha dovuto indossare per sempre un tutore che gli consente di camminare e usare quella gamba.
Da quando sono grande e mamma mi sono chiesta milioni di volte COSA abbiano passato i miei nonni, che tragedia questa malattia sia stata per loro, sposatisi nel mezzo della guerra e subito separati, a lungo, fino al ritorno del mio nonno dalla prigionia. La nascita di mio padre doveva essere stata una gioia enorme per i miei nonni, genitori non proprio più giovanissimi per gli standard dell'epoca, una sorta di risarcimento...
La malattia di mio padre ci è sempre stata spiegata in modo semplice, diretto, con parole adeguate alla nostra età. Io non ho mai fatto domande perché percepivo che quello era un nervo scoperto, un dolore grande comunque vissuto e accettato. "Non c'era il vaccino allora" mi è stato ripetuto tante volte.
E più volte mi sembra di aver capito che per il dolore i capelli della nonna Lea siano diventati bianchi tutti di un colpo...
A parte questa sorta di pudore, crescendo non ho fatto molte altre domande forse perché ai miei occhi, e penso di poter parlare anche a nome di mio fratello, mio padre era ed è una persona normale, un babbo come gli altri, che si arrabbiava come gli altri, giocava, lavorava, viziava, guidava, era dolce e severo come gli altri. Faceva tutto come gli altri. 
La sola cosa che davvero non facevamo era andare sulla neve perché non poteva indossare scarpe adeguate e sarebbe volato per terra appena sceso dalla macchina.
Ma a parte questo, non era diverso in niente per me dagli altri babbi.
Non ha mai usato la sua disabilità come un'arma, un paravento dietro cui nascondersi o una carta da giocarsi.
Forse è per questo che la diversità, "l'alterità" non mi spaventano, perché ci sono cresciuta accanto come se fosse una cosa normale.
Ma capite che un handicap non è una cosa tanto normale da gestire...e credo che i miei nonni avrebbero fatto di tutto per averlo a disposizione quel vaccino. E come loro, tanti altri genitori e bambini di quel tempo.
Perciò, di fronte alla prospettiva di vaccinare o no i vostri figli, informatevi, documentatevi, fate domande, è giusto e sacrosanto. Ma vi prego, credete ai numeri, ai dati che vi offre la scienza. È la stessa che ha messo a punto l'antibiotico cui ricorrete a piene mani quando il vostro piccino ha un semplice raffreddore, magari di testa vostra, senza consulto medico, senza necessità effettiva.
O le credete o non le credete. Non potete farlo a intermittenza.
E ricordatevi che la scienza di fronte a certe malattie ha solo i vaccini come armi: una volta contratte è assai possibile che ci sia ben poco da fare. Anche oggi che i progressi in campo medico sono stati fatti.
È vero che se decidete di non vaccinare esercitate una vostra libertà e lo fate sulla pelle dei vostri figli (che comunque la vostra non è). Ma è anche evidente che questa vostra scelta potrebbe ricadere anche sulla pelle di figli altrui.
Quindi pensateci.